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Um, dois, tres…Lula outra vez! DOSSIER BRASILE parte 3: intervista ai compagni della Federazione brasiliana

Um, dois, tres…Lula outra vez! DOSSIER BRASILE parte 3: intervista ai compagni della Federazione brasiliana

La terza parte dell’intervista ai compagni brasiliani a Massenzatico è dedicata alle più recenti vicissitudini politiche del Paese, con le annesse ripercussioni sulle popolazioni indigene e i ceti più poveri. Dalla “lotta alla povertà” di Lula fino al suo ritorno dopo la criminale amministrazione Bolsonaro. La lunga chiacchierata con Gustavo e Linguiça andrà avanti la prossima volta, quando torneremo a parlare delle lotte afroindigene.

UN: L’operação lava jato (l’operazione autolavaggio, la “Mani Pulite” brasiliana) ha rivelato un enorme sistema di tangenti che partiva dalla società petrolifera brasiliana controllata dallo Stato, la Petrobras (Petróleo Brasileiro SA). I trasferimenti illeciti di denaro per più di 13 miliardi di dollari a dirigenti d’azienda, politici e partiti hanno provocato l’arresto di vari deputati, senatori, governatori, manager e miliardari, arrecando ingenti danni a grandi aziende brasiliane e internazionali. L’inchiesta, avviata nel 2014 e condotta dallo zelante giudice della magistratura di Curitiba, Sérgio Moro, porterà alla campagna di delegittimazione del PT di Lula, condotta innanzitutto dal canale Rede Globo, fino all’impeachment della presidente Dilma Rousseff nel 2015 e all’arresto dello stesso Lula nel 2018. Il “golpe dolce”, come viene chiamato, riportò le destre alla guida del paese fino alle elezioni dell’ottobre scorso, quando Lula ha ottenuto il suo terzo mandato.

Come sono i media brasiliani in relazione ai politici? Noi potremmo citare Berlusconi, sia patron delle TV commerciali che quattro volte presidente del consiglio…

Gustavo: Ah…noi abbiamo Rede Globo, appunto, la più grande rete televisiva commerciale del Sudamerica, che ha supportato tutti i politici vittoriosi alle elezioni e prima ancora sosteneva la dittatura militare…[fu lanciata dal magnate dei media Roberto Marinho il 26 aprile 1965. Dal 1985 al 1993 fu presidente di Telemontecarlo, nel periodo in cui Rede Globo deteneva il controllo dell’emittente monegasca di lingua italiana. Globo è anche la più grande produttrice di telenovelas, ndr]

UN: Tornando a Lula; con lui l’incremento della produzione petrolifera del Paese portò dapprima alla copertura del fabbisogno interno, dopodiché il Brasile divenne un gigante sul mercato. Oggi il Brasile, dopo il Venezuela, è il secondo più grande produttore di petrolio dell’America Latina con una produzione annua di petrolio stimata in 131.8 milioni di tonnellate, rispetto alle 135.2 del Venezuela (dati al 2022) e il terzo fornitore della Cina. E l’impatto ambientale?

Gustavo: Beh, le compagnie statali brasiliane, tra cui la Petrobras, avevano gli ingegneri e una tecnologia avanzata per individuare i siti e procedere alla perforazione in acque fino a 2 km di profondità. Gli incidenti che si verificano non di rado durante l’esplorazione sismica [tecnica che consiste nel far brillare sul terreno sottomarino delle piccole cariche di esplosivo. Le onde sismiche vengono poi registrate da apposite apparecchiature che, attraverso i dati, permettono di ricostruire la struttura degli strati rocciosi e quindi scoprire l’esistenza di giacimenti petroliferi, ndr], le trivellazioni petrolifere offshore e il trasporto di petrolio, provocano i ben noti danni ambientali, oltre a contribuire all’effetto serra tramite l’emissione di gas di combustione. Ma Lula voleva l’autonomia e già nel 2003, al suo primo anno, la produzione raggiunse i 2 milioni di barili al giorno, anche se non della migliore qualità. Nell’aprile 2005, dopo il risanamento del debito estero col FMI, il controllo dell’inflazione e la conquista dell’autosufficienza nella produzione di petrolio, durante l’inaugurazione di una nuova piattaforma petrolifera dell’immensa impresa nazionale Petrobras, citando la creazione di nuovi posti di lavoro, il presidente ripeteva con le mani nere di greggio: il petrolio è nostro! Uno spot fantastico in vista della campagna elettorale di lì a un anno. L’artefice di quella vincente del 2002, fu Duda Mendonça, il mago della pubblicità, che verrà poi inquisito per il trasferimento di denaro all’estero e rimesso, comunque, sotto contratto per l’operazione di marketing di Petrobras, finendo nuovamente, nel 2015, nel calderone dell’inchiesta lava jato col suo socio João Santana [Petrobras è una S.A. L’azionista di riferimento rimane il governo brasiliano; nel 2010, le sue azioni, collocate sullo stock market di BOVESPA (la Borsa di San Paolo), subirono un colossale aumento di capitale pari a 72 miliardi di dollari, serviti, fra l’altro, a finanziare l’esplorazione di nuovi giacimenti petroliferi offshore localizzati a largo delle coste brasiliane a una profondità di addirittura 7 km dal livello del mare, ndr].

UN: Poco prima del G20 del 2 aprile 2009 a Londra, invece, Lula andò a rendere visita a Obama. Com’erano i rapporti?

Linguiça/Gustavo: Oh, Obama divenne il grande amico di Lula…Petrolio! Petrolio! Il Brasile è uno dei maggiori partner commerciali per gli Stati Uniti. All’epoca gli USA erano più che mai interessati al greggio venezuelano, ma in Venezuela c’era Chavez [il Paese fu tra i membri fondatori dell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), ndr] e il Brasile, che copriva con la sua produzione appena il fabbisogno interno, rappresentava, in prospettiva, una valida alternativa nel continente latinoamericano. Gli USA, che oggi sono di gran lunga il più grande produttore di petrolio al mondo, fino a tutti gli anni 2000 ne producevano relativamente poco e lo importavano [non sono ancora i tempi del boom dello shale oil e shale gas, il petrolio e il gas ricavati dalle rocce scistose con la famigerata tecnica del fracking, la frantumazione idraulica, che provoca dei micro terremoti con conseguenti stravolgimenti del sottosuolo e alterazioni dell’ecosistema locale, ndr].

Un altro bel regalo degli USA fu quello di affidare il comando militare della missione di “peacekeeping” ONU ad Haiti dal 2004 al Brasile (con la presenza di 1300 caschi blu brasiliani), missione confermata dopo il terremoto del 2010 [con la destituzione del presidente Jean-Bertrand Aristide da parte di truppe ribelli, fu creata nel 2004 la Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti (MINUSTAH) guidata dal generale brasiliano Carlos Alberto dos Santos Cruz. La missione ha terminato il suo mandato nell’ottobre 2017, dopo 13 anni di presenza sull’isola, ndr].

UN: Cosa fece di concreto Lula nella lotta alla povertà?

Gustavo: Grazie alle politiche selettive di reddito minimo del governo Lula 24 milioni di persone uscirono dalla condizione di povertà assoluta [un criterio di misurazione della povertà assoluta è la percentuale di popolazione che mangia meno di quanto necessario per il sostentamento regolare: 2000–2500 calorie al giorno, ndr]; ma fu dell’assistenzialismo o poco più. Ci spieghiamo meglio: Il programma “Fame zero” del 2003, la cui vera riforma fu la “Bolsa Familia” [la Borsa Famiglia, ndr] ha esteso il diritto al sussidio sotto la soglia di estrema povertà… Per chi aveva bambini, c’era un reddito aggiuntivo vincolato alla frequenza scolastica e per i bambini fino a 6 anni alla regolarità delle visite mediche. Il problema è che ci sarà un incremento nell’apprendimento solo con la qualità dell’insegnamento e, in questo senso, il Brasile sta messo male. Io stesso, che già ho faticato per iscrivermi alla scuola pubblica, posso confermare che il livello è pessimo. Comunque, con Lula, si sono visti, per la prima volta, i poveri frequentare la scuola e perfino gli aeroporti…

Gli immigrati nel sud, sud-est del paese hanno potuto raggiungere i propri familiari nel nord. E le persone, appena stanno un po’ meglio, cominciano a capire che hanno dei diritti e a combattere per quei diritti…

UN: Lula ottenne nel 2006 un secondo mandato. Poi arriva Dilma Rousseff, ex militante universitaria, guerrigliera clandestina processata e incarcerata durante la dittatura, ministra statale, ministra federale e infine presidente. Che amministrazione fu la sua?

Gustavo: Il presidente in Brasile può essere eletto solo per 2 mandati di fila, cosicché Lula indicò nel 2010 Dilma Rousseff come suo successore [nativa di Belo Horizonte, nello stato di Minas Gerais, il suo cognome, Rousseff, ha origine quando il padre bulgaro, Pedro Rousseff, al secolo Pétar Roussev, fuggito in Francia per motivi ignoti nel 1929, sostituì la v del suo cognome con due f. Trasferitosi in Brasile dopo la seconda guerra mondiale, venne chiamato da tutti Pedro, ndr]. Sempre Lula, l’aveva nominata, nel 2005, ministro della Casa Civil [una sorta di ministro dell’Interno a cui spettano le questioni più delicate, ma non compete l’ordine pubblico. Ha le funzioni che in Italia svolge il sottosegretario alla presidenza del consiglio, ndr]. In ogni caso, la presidente proseguì i programmi del governo Lula come il PAC [Programa de Aceleração do Crescimento, il programma di accelerazione della crescita, ndr], nelle intenzioni una strategia di sviluppo infrastrutturale, del settore energetico nazionale, di semplificazione burocratica, e rigenerazione urbana con degli investimenti, ad esempio, nelle favelas. Ma per fare tutto ciò, furono stanziati tanti crediti a soggetti privati. Poi ci fu il programma per la casa “Minha casa, minha vida”…creato nel 2009 nell’ambito del PAC per sostenere con sussidi statali le famiglie a basso reddito che non se la potevano permettere. In realtà, le ditte appaltatrici costruirono case fatiscenti. Per dire: i materiali erano talmente scadenti che, se si fosse messo tra quattro mura un condizionatore d’aria, queste sarebbero crollate…

UN: La sua discesa dal palazzo del Planalto di Brasila, ha anche a che vedere con gli enormi sprechi e le spese sostenute per i Mondiali del 2014?

Gustavo: Ma certo…Migliaia di persone, tra cui noi anarchici, scesero in piazza per mesi in molte città già nel 2013, per contestare gli sprechi e le spese eccessive sostenute dal governo per i Mondiali di calcio del 2014 [il 18 giugno 2013 furono più di un milione di persone a manifestare in quattrocento città, ndr]. Il paese aveva bisogno di scuole e ospedali, non di stadi. Poi c’è la devastazione ambientale.

Dilma ha sostenuto il completamento della centrale idroelettrica di Belo Monte [la centrale, nello Stato del Pará, è stata inaugurata nel 2016; è costata 40 miliardi di reais (circa 7 miliardi di euro) e ha una capacità di 11.233 megawatt, pari al 6,2% della produzione di elettricità del Brasile. È la seconda diga idroelettrica più grande del Brasile e la terza al mondo, dietro la Diga delle Tre Gole cinese e la brasiliano-paraguaiana diga di Itaipú, ndr]. Peccato che per realizzarla sono stati distrutti migliaia di ettari di foresta e allontanate decine di comunità di indigeni e di “ribeirinhos” che vivono lungo il fiume Xingu [i ribeirinhos sono un popolo tradizionale del Sudamerica, che vive in prossimità dei fiumi e che ha come attività principale di sostentamento la pesca e la coltivazione in piccola scala, per uso proprio, ndr]. Inoltre, nel 2015 Rousseff aveva nominato ministra dell’agricoltura Kátia Abreu, referente politico della “bancada ruralista” -un gruppo di deputati conservatori sostenuto dagli allevatori di bestiame e dai latifondisti della soia, che controllano circa un terzo del Congresso e che si sono opposti alle demarcazioni dei territori indigeni, sostenendo la riduzione delle aree protette, al fine di espandere l’agricoltura nel territorio amazzonico- e quindi ostile al movimento dei Sem Terra [A novembre 2014, la protesta dei contadini del Rio grande do Sul contro l’agrobusiness e gli OGM, vide 2000 persone occupare la fazenda della Abreu, allora senatrice e presidente della Confederazione Nazionale dell’agricoltura, la fattoria “Pompilho”, situata ai lati della strada BR 158, che collega la città di Palmeira das Missões alla regione occidentale dello Stato di Santa Catarina, dove venivano coltivati 2000 ettari di mais transgenico. L’introduzione degli OGM in Brasile e non solo, la si deve, a partire dagli anni 80 del secolo scorso, alla famigerata Monsanto company, la società americana di biotecnologie agrochimiche rilevata per 63 miliardi di dollari nel 2018 dalla tedesca Bayer AG, ndr].

UN: Eppure a ottobre 2014 venne rieletta, almeno fino all’impeachment..

Gustavo: Poco dopo l’ondata di proteste che erano partite per l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici urbani e culminarono quando vennero a galla gli sprechi per i Mondiali, Dilma fece un discorso in diretta nazionale dove dava ragione ai manifestanti. Ma il malcontento era diffuso, il paese era entrato in recessione, anche per gli effetti della crisi internazionale del 2007-8, soprattutto per quanto riguarda il petrolio; fu forse per la strategia dello specialista delle campagne elettorali del PT, João Santana [arrestato a febbraio 2016 nell’ambito dell’inchiesta lava jato, nonché socio di Duda Mendoça, con cui aveva curato la prima campagna di Lula, ndr] nel presentare Dilma come una donna coraggiosa che aveva sfidato la dittatura, che lei vinse al ballottaggio per tre milioni di voti e che, in Brasile, rappresentano solo 3 punti percentuali…[La presidente uscente del PT prese 54.498.042 di voti pari al 51,64% contro le 51.040.588 preferenze dello sfidante Aecio Neves pari al 48,36% dei voti. Gli aventi diritto al voto erano 142.822.046, i voti validi sono stati 105.538.630, ndr]. Per lei votarono i ceti più poveri, il nord più del sud. Ma i potenti media controllati dalla famiglia Marinho (Rete Globo, O Globo e Valor Ecònomico) fecero partire la macchina del fango contro il PT e Rousseff, accusandola di corruzione sulla scorta dell’inchiesta lava jato condotta da Sérgio Moro, che porterà alle proteste di piazza e infine all’impeachment. Tutto il PT fu attraversato dallo scandalo causato dalla malversazione sistematica di fondi in Petrobras, furono coinvolti vari esponenti della maggioranza e la stessa Rousseff [dal 2003 al 2010 Dilma era stata nel cda di Petrobras, ndr] ed è allora che si è inserita la destra liberale, con un “golpe dolce”, insediando il vicepresidente di Dilma, Michel Temer, alla presidenza; un cattolico, di origini libanesi, appartenente al partito PMDB di centrodestra [il Partido do Movimento Democrático Brasileiro, ndr], appoggiato dall’associazione degli industriali come la Federazione delle industrie dello Stato di São Paulo (che, insieme alla destra evangelica e pentecostale, ha coordinato direttamente le azioni di protesta alla vigilia dell’estromissione della Rousseff) e dai grandi proprietari terrieri [il Congresso eletto nel 2014, era dominato, come spiegato sopra, dalla bancada ruralista (235 deputati su 513 totali e 27 senatori su 81) o bancadas “BBB” (“Boi, Bala e Bìblia”: bue, pallottola e bibbia), ndr].

Temer, ovviamente, ha riproposto le privatizzazioni, lo smantellamento dei diritti dei lavoratori e dei popoli indigeni ecc. sostenuto nelle sue politiche dall’emittente Globo, che ha continuato a gettare fango su Lula e Dilma.

UN: Il titolare dell’inchiesta lava jato, Sérgio Moro, sarà poi ministro della Giustizia e della Sicurezza pubblica sotto Bolsonaro. Di cosa venne accusata esattamente la Rousseff?

Gustavo/Linguiça: Il processo di impeachment di Dilma Rousseff durò 9 mesi [dal 2 dicembre 2015 al 31 agosto 2016. Il Congresso Nazionale decise per la revoca del mandato a Dilma, senza la perdita dei suoi diritti politici, ndr].

La presidente fu accusata di quella che viene chiamata “pedalata fiscale”, praticata ampiamente anche dai suoi predecessori. Dilma è stata accusata di aver usato denaro delle Banche Nazionali per finanziare programmi sociali, garantire il pagamento degli assegni di disoccupazione ecc. Avrebbe avuto una responsabilità fiscale nella misura in cui il governo, avendo superato la spesa pubblica prevista dalla legge sulla parità di bilancio [introdotta nel 2000, ndr] avrebbe manipolato i dati per nascondere la crescita del debito pubblico prima delle elezioni presidenziali del 2014. La magistratura di Curitiba, guidata dal giovane e rampante magistrato Sérgio Moro [il “Di Pietro brasiliano” con origini italiane; i suoi antenati venivano da Breganze, in provincia di Vicenza, ndr], a partire dal marzo 2014 scoperchiò un enorme giro di corruzione; l’intera classe politica (quasi due terzi dei parlamentari) che aveva governato il Paese dal 2003, venne inquisita nei diversi filoni dell’inchiesta. Messo in un angolo il PT, con l’aiuto di Rede Globo e delle proteste di piazza, Sérgio Moro preparò il terreno all’elezione di Bolsonaro. L’azione di Moro culminò con l’arresto spettacolare di Lula [sabato 7 aprile 2018, ndr]. In realtà, Moro non aveva alcuna prova. Una delle sue frasi famose fu: “io non ho prove, ho delle convinzioni” [a marzo del 2021 il giudice del Tribunale supremo federale Edson Fachin ha invalidato tutte le condanne contro Lula per mancanza di prove, ndr]. Sérgio Moro fu il Ministro della Giustizia di Bolsonaro, ma durò poco più di un anno…Rassegnò le dimissioni [il 24 aprile 2020, ndr] durante una conferenza stampa da lui indetta a Brasilia, dicendo che aveva subito pressioni inaccettabili da parte del presidente, mentre stava indagando su 3 dei suoi figli…[l’assessore Carlos Bolsonaro, il deputato Eduardo Bolsonaro (entrambi accusati di aver diffuso notizie false durante la pandemia) e il senatore Flávio Bolsonaro (per i legami con i paramilitari di Rio de Janeiro, nonché i presunti rapporti col killer dell’attivista Marielle Franco, uccisa in macchina col suo autista da una raffica di pistola in pieno centro a Rio il 14 marzo 2018. Era consigliera comunale del Partido Socialismo e Liberdade (Psol) a Rio de Janeiro, nera e bisessuale, cresciuta nella favela, impegnata per i diritti della comunità lgbt, dei “favelados”, e degli afrodiscendenti). A inizio novembre 2022, poco dopo la sconfitta di Bolsonaro alle ultime elezioni contro Lula, due di loro, Eduardo e Flavio, hanno fatto richiesta per ottenere la cittadinanza italiana, visto che il padre, ottimo amico del vicepremier Salvini, ha già quella onoraria di Anguillara Veneta. Dovessero mettersi male le cose in patria…ndr]

UN: Jáir Messias (…) Bolsonaro, uscì dalla “boca de urna” a fine 2018 e iniziò il suo mandato il 1 gennaio 2019.

Gustavo/Linguiça: Intanto Bolsonaro è l’unico presidente a non essere stato rieletto…per quanto la cosa ci possa interessare. Ha subito fatto tornare i militari, ha nominato Ministro dell’economia, Paulo Guedes, altro seguace dei dettami liberisti della Scuola di Chicago, ha costantemente irriso e negato come Trump l’attendibilità dei dati dell’IPCC (The Intergovernmental Panel on Climate Change, Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) per poi chiudere in bellezza con la gestione della pandemia. Senza voler entrare nel merito della questione sanitaria concernente i vaccini, Bolsonaro e i suoi hanno diffuso notizie false, decimato scientemente vite indigene, rifiutandosi di intervenire in un qualsiasi modo per arrestare gli effetti devastanti della pandemia. Anzi, approfittando della contingenza, Bolsonaro ha istigato la criminalità, favorendo le attività estrattive abusive nei territori indigeni dell’Amazzonia e garantito l’impunità per i crimini contro rappresentanti indigeni e attivisti. Una Commissione d’inchiesta parlamentare lo accusò di crimini contro l’umanità e ora dovrà pure rispondere della pagliacciata dell’8 gennaio, la Capitol Hill brasiliana, quando i bolsonaristi hanno assaltato il palazzo presidenziale del Planalto arrivando all’anticamera dell’ufficio di Lula…Pare che dietro il ridicolo tentativo di colpo Stato ci sia un generale legato all’ex presidente [il generale Augusto Heleno, che ha comandato il Gsi, il Gabinetto per la sicurezza istituzionale, tra il 2019 e il 2022, ndr].

Con la vittoria di Luiz Inácio Lula da Silva alle elezioni di fine ottobre 2022, si è ripreso a parlare in America Latina del ritorno della “marea rosa”, quel fenomeno che negli anni Duemila aveva visto la gran parte dei paesi latinoamericani governati da forze socialiste più moderate (a parte Chavez, forse) e quindi connotabili col colore rosa, rispetto al comunismo, da sempre identificato col rosso; fenomeno che si sta ripetendo. Lula è tornato, ma è evidente che le connessioni e le alleanze obbligate coi settori imprenditoriali – imprese pubbliche e private, banche, appaltatori, l’agrobusiness – sono l’ostacolo a tutti i bei propositi e i programmi di riduzione delle disuguaglianze sociali. Il nostro interesse va dunque nella direzione del messaggio decoloniale delle lotte afroindigene, di cui i compagni venuti dal Brasile si sono fatti portatori nel loro viaggio fino a Massenzatico.

Due compagni della redazione

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